22 Gen Articolo sull’Avvenire 28/12/18 su Adwa
Lo scorso 28 dicembre è uscito un articolone di una pagina intera sull’Avvenire: “Suor Laura, una speranza per Adua”, di Giorgio Paolucci.
Il reportage presenta approfonditamente la storia di suor Laura e della missione di Adwa ed in particolare il progetto del nuovo ospedale.
Errata corrige da segnalare: si parla dell’inaugurazione il 31/01/2019 ma è stata rinviata. Suor Laura e collaboratori hanno infatti preferito dare il via alle prime attività sanitarie prima dell’evento, per verificare che all’avviamento il funzionamento della struttura, il tipo di utenza, le competenze del personale locale che si sta man mano assumendo.
Ecco l’articolo pubblicato:
«Li vedevo morire sotto i miei occhi, tra le mie braccia. Non potevo continuare a commuovermi per la sorte di quei bambini e rimanere inattiva, dovevo fare qualcosa per loro. Io sono fatta così». È fatta così Laura Girotto, suora salesiana, donna infaticabile, un vulcano di idee, una fucina di opere. L’ultima in ordine di tempo verrà inaugurata tra poche settimane, il 31 gennaio, in occasione della festa di San Giovanni Bosco: un ospedale ad Adua – nella regione del Tigrè, Etiopia – che si va ad aggiungere ad altre attività nate in questi anni nella missione salesiana di Kidane Mehret, da lei fondata nel 1994 con l’aiuto dell’Associazione Amici di Adwa-Onlus. Si comincerà con pronto soccorso, sala parto, ambulatori e un reparto di degenza con 27 posti letto. È opera quanto mai necessaria un ospedale da quelle parti, dove la mortalità infantile miete 50 vittime ogni mille nati, e dove le strutture sanitarie statali sono gravemente deficitarie. L’ospedale nasce nello spirito che anima tutte le attività della missione: formare personale che nel tempo diventi capace di far crescere la struttura in maniera autonoma. «Devono imparare a farcela da soli, gestendo con strutture e metodi adeguati quello che in questi anni abbiamo costruito insieme. Il nostro obiettivo è renderci superflui. Il futuro dell’Etiopia devono costruirlo gli etiopi, altrimenti si rischia un neocolonialismo mascherato dalle buone intenzioni», osserva suor Laura, che ha alle spalle un “curriculum missionario” comprendente India, Siria, Egitto, Zaire e Libano.
Classe 1944, quinta di sette figli, cresciuta in un quartiere popolare di Torino, da giovane coltiva la passione per la moda, ottiene il diploma di figurinista e vince il concorso per “giovani caterinette”, romantico soprannome delle sartine. Quando Dio bussa alla sua porta volta le spalle a una promettente carriera e, scontrandosi con il parere della famiglia e degli amici, entra nella congregazione delle suore salesiane di Don Bosco. Decisione irrevocabile, che le ha regalato «una vita non facile, ma felice». Adua viene menzionata nei testi di storia per la sconfitta subita dall’esercito italiano nel 1896 durante il primo tentativo di colonizzare l’Eritrea. Nel 1936 fu la volta dell’Etiopia a venire conquistata e gli italiani vi hanno lasciato in eredità strade e infrastrutture. L’arrivo della missione salesiana nel 1994 ad Adua, oggi abitata da settantamila persone, ha significato un ritorno degli italiani con le armi della carità e della solidarietà, che in questi anni hanno generato iniziative nel campo dell’istruzione e della formazione professionale e sono state un volano per la nascita di attività artigianali, commerciali, edilizie.
«Vogliamo favorire lo sviluppo puntando su educazione e crescita del capitale umano, l’arma più efficace per arginare le migrazioni dall’Afri- ca verso l’Europa – spiega suor Laura –. La missione è diventata un punto di riferimento per lo sviluppo sociale e per la crescita economica della zona. Così, nel nostro piccolo, facciamo in modo che una frase come “aiutiamoli a casa loro”, che sento spesso ripetere quando torno in Italia, non rimanga uno slogan ma diventi realtà». È stato lo stesso sindaco di Adua a chiedere un aiuto per dare risposta all’emergenza sanitaria, e il governo etiope ha offerto alla Chiesa il terreno su cui edificare l’ospedale. Grazie all’intraprendenza e alla caparbietà di suor Laura – che crede fermamente nella frase evangelica «bussate e ci sarà aperto» – sono arrivati finanziamenti da molti benefattori italiani, la Cei ha stanziato 3.195.000 euro con i fondi dell’otto per mille, l’associazione Amici di Adwa sta raccogliendo fondi (www.amicidiadwa.org), e si spera che sotto l’albero di Natale arrivi qualche offerta consistente, visto che mancano ancora 10 milioni di euro per raggiungere l’obiettivo di spesa previsto di 22 milioni.
Il progetto definitivo, che ha un bacino di utenza di un milione di persone, prevede una struttura con 200 posti letto, 17 ambulatori specialistici, un reparto per la riabilitazione motoria, una scuola per la formazione del personale paramedico, abitazioni per il personale, la conversione dei container che trasportano le attrezzature in abitazioni per ospitare i parenti dei malati che arriveranno in gran numero, attirati dalla presenza di una struttura di eccellenza in una regione dove la precarietà della sanità pubblica miete vittime e provoca interventi inadeguati. In realtà l’intervento sanitario è già attivo: la missione è aiutata dai volontari di molte associazioni come Amoa (medici oculisti per l’Africa) e Aspos, una onlus di Padova che opera in una sorta di ospedale da campo: 117 tra medici e infermieri a turno arrivano ad Adua utilizzando periodi di ferie o “mettendo a frutto” la loro pensione per offrire competenze nelle varie specialità. Finora i casi più gravi hanno ottenuto accoglienza in Italia nell’ospedale Casa Sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo, una “migrazione” destinata a finire con l’apertura della struttura in costruzione.
Da qualche anno a Kidane Mehret è in atto anche una significativa esperienza di collaborazione tra laici volontari e persone appartenenti a differenti carismi ecclesiali che mettono le loro capacità al servizio dell’opera comune: alle missionarie salesiane si sono affiancate nel tempo le religiose del Cottolengo, un ordine “ospedaliero” particolarmente prezioso per le necessità di ordine sanitario, e alcuni professionisti appartenenti ai “Memores domini”, un’associazione laicale nata dal carisma di Comunione e Liberazione. «Viviamo nella stessa struttura mantenendo ciascuno la propria identità ecclesiale – racconta suor Laura –. Nella vita quotidiana e rispondendo alle necessità della missione scopriamo quanto ci accomuna, o meglio Chi ci accomuna. È una esperienza di comunità intercongregazionale che ci aiuta ad andare alle radici delle nostre rispettive vocazioni, ci arricchisce umanamente e si sta dimostrando una risposta efficace per rispondere alle sfide con cui la Chiesa si misura, in Etiopia e non solo. Senza alcuna pretesa di risolvere con le nostre forze i problemi dell’Africa, vediamo con i nostri occhi che la Provvidenza usa di noi come strumento per manifestarsi in mezzo al popolo dell’Etiopia».