Recensione e presentazione del libro La Tenda Blu

Recensione e presentazione del libro La Tenda Blu

Riportiamo il bell’articolo apparso sul notiziario della Parrocchia di Penzale – Cento – all’indomani della presentazione del libro “La tenda blu” del 13/12/11

Non è la prima volta che grandi storie nascono in ambienti molto umili.
Certo, ne esiste una incomparabile. Siamo immersi nel clima natalizio e quindi risulta facile ricordare cosa ha avuto inizio all’interno di una grotta adibita a stalla, oltre duemila anni fa.
Tuttavia, nel corso del tempo, quando l’Umiltà ha camminato in simbiosi con l’Amore, ha potuto generare grandi cose, tante altre volte. E ciò che è avvenuto e sta continuando ad Adwa ne è la dimostrazione tangibile.
In quella zona sperduta e dimenticata dai riflettori occidentali, situata in una Etiopia dilaniata da guerre e straziata da carestie, ha avuto inizio, sotto una tenda di tela blu – un residuo militare – una storia che valeva la pena esser raccontata. Magari attraverso un libro.

Ci ha pensato il giornalista e scrittore Niccolò d’Aquino, giunto a Cento il 13 dicembre per presentare il suo libro “La tenda blu – In Etiopia con le armi della solidarietà”, dove racconta, in prima persona, gli inizi della Missione salesiana di Adwa e registra contemporaneamente la storia degli ultimi trent’anni di una parte di Africa.
“Questa è la storia – scrive d’Aquino nella sintesi di presentazione dello scritto – forse istruttiva e di sicuro sconosciuta ai più, di come nasce una Missione. Del Bene che riesce a produrre attorno a sé. Delle fatiche quotidiane, delle delusioni da superare, delle ostilità da aggirare.
Ma è, soprattutto, la storia di un sogno diventato realtà. E che, come tale, ha ancora e sempre bisogno di essere sognato.” E che questo è un libro “originale”, lo dimostra non solo la storia in esso raccontata, ma anche il fatto che i proventi dei diritti d’autore sono devoluti, dallo stesso d’Aquino, all’Associazione Amici di Adwa, l’Onlus che cura l’organizzazione delle adozioni a distanza della Missione e aiuta alla raccolta dei fondi necessari per la realizzazione delle preziose opere missionarie (laboratori, scuole, ospedale), a testimonianza che dalla generosità nasce spesso
nuova generosità.

Alla serata, moderata dal giornalista Rai Nelson Bova, era presente la salesiana fondatrice della Missione di Adwa, suor Laura Girotto. All’inizio, dunque, era solo una tenda, unico riparo e soggiorno per la salesiana suor Laura.
Nient’altro. “Solo” la risoluta tenacia di una donna, convinta che lì, proprio in quel luogo desolato, fosse necessario fare qualcosa, con la “sola” forza della Fede in Colui che ha donato tutto se stesso agli altri. E che ha promesso di non lasciarci mai soli.

 

Il perché di una tenda è presto detto: troppo distante era la Missione che avrebbe potuto ospitare suor Laura.
Serviva un luogo più vicino, perché esiste un solo modo per conquistare il cuore delle persone da aiutare:
vivere quotidianamente insieme a loro. Con-vivere. Una sistemazione più adeguata, a dir la verità, c’era,
ma era occupata dai Padri missionari e il comune modo di pensare locale ha sconsigliato quella convivenza
che sarebbe stata considerata promiscuità. “La donna dei Missionari”. E non era il caso di partire subito con il
piede sbagliato. Così, è stata montata una tenda militare – di residui bellici, l’Etiopia, ne sa qualcosa – come unico rifugio per una suor Laura che per sua stessa ammissione era “già troppo vecchia, a 49 anni, per iniziare una
Missione. Ma quando il “Capo” chiama…..”.
Già, ma quando il “Capo” chiama c’è poco da rinviare, da tentennare, da dubitare. Si sa, il “Capo” non si accontenta: o tutto o niente. “E allora diamo tutto”, si è detta la mancata stilista diventata suora, cresciuta in una Torino dove
l’opera di don Bosco risuona incessantemente con grande forza e forgia le persone che vogliono mettersi in gioco per gli altri.
Si diceva di residui bellici. Non era la prima volta che gli italiani andavano in quella terra: le prime due volte per fare la guerra, con le armi che uccidono; la terza, sempre per combattere, ma stavolta contro la morte, con le armi dell’Amore. Poi, ognuno di noi, giudichi qual è stata la maniera migliore per ottenere risultati positivi, non solo per la popolazione locale, ma per l’Essere umano, in quanto tale. Quell’Essere che troppo spesso
si dimentica cos’è veramente, quale deve essere la propria missione nella vita.
“Vi sono situazioni” – ha affermato suor Laura – “in cui la diplomazia ufficiale non riesce ad entrare, soprattutto se in precedenza sei andato lì con l’intento di conquistare e soggiogare le persone. Le Missioni, invece, con la propria opera, riescono a testimoniare il messaggio di Pace, di Condivisione e di Solidarietà e allora ecco, che la diplomazia riesce ad entrare nel cuore di quella gente e insieme riesce a costruire qualcosa”.
Una larga parte della serata è stata dedicata alla presentazione del progetto “folle”, come lo chiama suor Laura, cioè un ospedale. Grande, capiente, costruito facendo combinare le esigenze di una struttura di tale importanza con i costi: cosa non irrilevante, soprattuttoin questi tempi di crisi.
Ma davanti alla parola “crisi”, suor Laura ha come uno sbotto di sdegnata ribellione. “La crisi che l’Italia e il mondo occidentale stanno realmente subendo, è poca cosa davanti a centinaia di bambini che muoiono perché manca il necessario per le cure. Quello che qui si cura con un antibiotico, là è causa di morte; l’attrezzo sanitario che qui costa pochi centesimi, là non si trova e quindi si muore; quello che qui si spende per un pacchetto di sigarette, là permette di mantenere in vita un bambino per una settimana”.
L’ospedale è un progetto che nel 2008 era solo su carta e oggi si sta già rendendo concreto.
I muri crescono; lentamente, ma salgono. Un progetto “folle” che sarà da gestire e già alcuni medici collaborano direttamente in luogo, presso la struttura fatiscente attuale, che sarà da abbattere, tale è il degrado disumano in cui versa. Altri professionisti hanno già dato la loro disponibilità ad aiutare a far crescere medici del luogo. Insomma,
la famosa questione del pesce e della canna da pesca. “Quello che è scritto sul libro è tutto vero. E’ vita vissuta”. Lo scrittore e giornalista d’Aquino ha svelato il segreto di come è riuscito ad ottenere quella preziosa testimonianza,
direttamente da una suor Laura che non ha nemmeno il tempo di starnutire. “Sono venuto a conoscenza del fatto che i medici avevano costretto suor Laura al riposo assoluto e allora sono partito con un registratore e sono andato a trovarla nella sede salesiana della costa amalfitana, dove riposava. Suo malgrado”. Il libro racconta l’esperienza diretta di un miracolo ancora in corso di sviluppo e l’opera di una suora che per la gente locale è nello stesso tempo mamma, sorella, nonna, insomma, quel famigliare che il corso degli eventi ha fatto mancare a tanti di loro e che
forse non hanno mai avuto. Perché essere poveri davvero, significa anche questo. “Le armi della solidarietà”, dunque, perforano anch’esse i cuori. Ma lo fanno gonfiandoli di Amore, di quella Carità unica a rimanere, per chi ci crede, dopo una vita vissuta su questa Terra. Una Terra sempre più “villaggio globale” e che quindi non giustifica più la non coscienza dei fatti, delle realtà, delle miserie e ingiustizie che milioni di persone subiscono, semplicemente perché nate in una zona desolata.
Poi capita, non certo per caso, che arriva qualcuno che monta una tenda blu e allora…