Oltre le Statistiche: le parole di Silvia da Adwa

Oltre le Statistiche: le parole di Silvia da Adwa

LE PAROLE DI SILVIA

Hey Amici, è stato davvero bellissimo poter tornare ad Adwa dopo quasi quattro anni!
Ho ritrovato tanti volti familiari, tante persone provate da vissuti durissimi ma tenaci nel ricostruire una vita dignitosa. Ho tenuto un diario durante il viaggio: lo trovate qui. Riporto il passaggio del momento in cui ho conosciuto la storia di Lwam raccontata da Bea nel suo articolo che trovate qui:

“Entro nel reparto N.I.C.U. (Terapia Intensiva Pediatrica). Ho paura di contaminare l’ambiente sterile coi miei vestiti e scarpe, mi procurano camice e mascherina. Sono pronta a fare foto e raccogliere informazioni sui piccoli pazienti. Ma quando li vedo nelle incubatrici, vorrei tanto proteggere il loro diritto alla riservatezza. Tubicini che entrano dappertutto, medicazioni ancora fresche, il pancino che sale e scende ad un ritmo innaturale. Mario, il pediatra che mi accompagna, si fa serio, sta avviando la trasfusione di sangue. L’allarme del monitoraggio dei parametri mi fa capire che il piccolo è in pericolo di vita, preferisco allontanarmi per non essere d’intralcio, ma anche per evitare di vedere una vita che se ne va. Poi l’emergenza rientra e tiro un sospiro di sollievo”.

Vivere in prima persona l’esperienza è decisamente diverso dal leggere statistiche crude e impersonali sulla mortalità neonatale o sulle attrezzature saccheggiate. Se avessi visto morire sotto i miei occhi Lwam, sarei rimasta segnata per sempre. Sono felice di aver potuto invece assistere al “miracolo”deii pediatri ed infermiere.

Etiopi ed italiani, lavorando insieme, stanno imparando tanto: i primi ad eseguire correttamente le procedure salvavita, i secondi ad arrangiarsi con quel che c’è. Bisogna gestire con competenza risorse limitate:  l’infermiera Marina,  ad esempio,  mi ha spiegato che hanno dovuto compensare la mancanza della CPAP (per assistenza respiratoria con ossigeno a pressione attiva) con un sistema di tubi che passa attraverso una bottiglia di plastica! Una soluzione ingegnosa è stata trovata anche per la lampada per la fototerapia: essendocene solo una, è stata montata su un piedistallo con quattro ruotine, per condividerla tra più incubatrici.

Nonostante l’impegno straordinario, manca ancora tanto.

Ho visto sister Pauline che, per riuscire a fare una flebo ad un piccolino gravemente denutrito, ha strappato il bordo dei guanti di lattice e l’ha usato come “laccio emostatico” per trovare la debole vena per la cannula.

Ho inseguito il dott. Maebel mentre saltava da un ambulatorio all’altro del pronto soccorso per gestire i numerosi casi, mentre il giorno prima aveva affiancato per ore il dott. Catani negli interventi sui ragazzi amputati: aveva sorretto i monconi con le sue stesse mani, non avendo ancora a disposizione il lettino operatorio specifico per l’ortopedia.

Ho visto coi miei occhi veterani di guerra giovanissimi con amputazioni di gambe e braccia; ragazzi con una pallottola piantata in testa impossibile da rimuovere; pazienti con traumi neurologici che solo grazie alla fisioterapia di suor Betty hanno speranze di tornare ad alzarsi e camminare.

Vi posso testimoniare che i pazienti che hanno bisogno del nostro aiuto sono tantissimi, e che la necessità di attrezzature, dispositivi consumabili, farmaci, medicazioni, gel per ecografie ecc. è davvero grande.

Mi domanderete: ma allora è efficace il nostro aiuto? La mia risposta è: SÌ, è fondamentale!

Ogni singolo contributo ha un impatto enorme sulla vita di chi è in difficoltà e chi, come me, ha visitato l’ospedale Kidane Mehret lo può testimoniare. Una piccola donazione può significare la differenza tra la fame e il nutrimento, tra la malattia e la guarigione, tra la disperazione e la speranza. Tutti quelli che ho incontrato, dalle suore ai dipendenti, dagli studenti al personale sanitario mi hanno chiesto di portare i loro ringraziamenti ad ognuno di voi per aver permesso loro di sopravvivere durante la guerra! La nostra vicinanza spirituale e materiale ha dato loro la forza di andare avanti. Ed ora che, con grande dignità e resilienza, si stanno faticosamente rialzando, noi vogliamo essere al loro fianco!

Vi prego, non voltatevi dall’altra parte. Insieme possiamo fare la differenza. Insieme possiamo donare dignità, speranza e un futuro migliore a chi ne ha più bisogno.

Grazie di cuore,

Silvia

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