Un anno di guerra in Etiopia

Un anno di guerra in Etiopia

Il 4 novembre 2020 l’esercito federale dava inizio all’offensiva militare in Tigray, contro il gruppo politico TPLF ed il relativo braccio armato TDF che avevano svolto elezioni non autorizzate e preso il possesso di una base militare locale.

Doveva essere un’operazione lampo volta a ripristinare internamente lo stato di diritto… Invece si è ampliata sempre di più, coinvolgendo l’esercito eritreo e le milizie amhara in ritorsioni e soprusi sulla popolazione civile, isolando di fatto la regione del Tigray dall’accesso al cibo, ai beni di prima necessità, alle telecomunicazioni ed ai servizi bancari. Membri delle agenzie umanitarie sono stati uccisi o espulsi dal Paese.

UN ANNO DI CONFLITTO ha causato decine di migliaia di perdite militari, ma sono incalcolabili le vittime civili per fame e violenze. 1,9 milioni di persone sono sfollate dalle loro case e si sono accampate nelle scuole delle principali città o in campi profughi improvvisati.

Proprio ieri l’ONU ha pubblicato il rapporto (lo trovi a questo link in inglese) che documenta stupri e massacri sia da parte etiope/eritrea che tigrina. Gli autori hanno lamentato di essere stati ostacolati nella loro indagine dalle restrizioni di accesso e dalla pericolosità della zona.

Nelle ultime settimane l’esercito tigrino ha stretto alleanza con l’OLA, l’esercito di liberazione oromo, altra etnia con velleità di indipendenza, e ha esteso il terreno di combattimento sulle rotte strategiche per il commercio ed in direzione della capitale.

Nel frattempo le forze governative si sono dotate di nuove armi e droni e hanno ripreso i bombardamenti, terminando il cessate il fuoco di giugno.

Purtroppo abbiamo saputo che anche le strutture civili sono prese di mira dagli attacchi dei droni nelle zone periferiche: il 24 ottobre è stata di nuovo bombardati edifici industriali ad Adwa, mietendo vittime civili, ed il 28 ottobre è stata colpita la zona della scuola professionale Don Bosco di Mekelle… un attacco insensato, che probabilmente era destinato ad un non precisato centro di addestramento, come riporta Il Faro di Roma. L’agenzia informativa salesiana riporta che i missionari sono incolumi, ma si sono registrate vittime tra i civili, anche minorenni.

Questi bombardamenti hanno costretto ad interrompere anche gli sporadici voli umanitari su Mekelle, gli unici che erano rimasti attivi per gli operatori delle agenzie ONU e ONG.

Il 3 novembre 2021 il premier Abiy ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il paese (approfondisci nell’articolo dell’ISPI), autorizzando arresti e coprifuoco, ed ha esortato i 5 milioni di abitanti di Addis Abeba ad armarsi (leggi l’articolo della Stampa).

Altri articoli che sintetizzano i fatti di questo anno ed analizzano le conseguenze e le prospettive future:

– l’articolo del Sole24ore “etiopia, i ribelli del Tigray verso Addis Abeba. Come si è arrivati alla crisi”

– la sintesi del conflitto su AfricaExPress , su Focus on Africa (di Davide Tommasin), su Africa Rivista

– tutti gli aggiornamenti e le analisi di Sicurezza Internazionale LUISS

– l’articolo sull’anniversario di Avvenire, dalle cui pagine Paolo Lambruschi ha scritto con costanza tutti gli aggiornamenti di questo orribile anno

– l’analisi del direttore dell’Institute of Global Studies Nicola Pedde sull’Huffington Post

– l’intervista a Radio Vaticana dell’africanista Enrico Casale.

– su La Repubblica Raffella Scuderi fa un quadro chiaro del conflitto e conclude con due immagini molto calzanti:

“Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è paralizzato, impedendo qualsiasi tipo di risposta internazionale, se  non moniti e qualche sanzione. L’Etiopia si fregia di non essere mai stata colonizzata e non intende cedere a pressioni straniere, considerate ingerenze.

Il conflitto etiope non è solo un danno per l’Etiopia, ma per tutto il Corno d’Africa e il continente. Alle recenti parziali elezioni d’Etiopia, che hanno visto la schiacciante vittoria di Abiy, il presidente kenyano Uhuru Kenyatta ha detto: “Per il continente l’Etiopia è nostra madre. E come sapete tutti, se la madre non è in pace, non lo sarà neanche la sua famiglia”.

 

La gente di Adwa e le migliaia di sfollati accolti sono tutt’oggi stretti tra la morsa della fame e la minaccia degli attacchi aerei. Non lasciamoli soli, le missionarie restano al loro fianco e contano su di noi!