Diario di viaggio ad Adwa 2024 #4 Vi porto a casa con me…

Diario di viaggio ad Adwa 2024 #4 Vi porto a casa con me…

Fiumicino, 4.30 di mattina. Scendo dall’aereo di ritorno con la solita sensazione di ossa rotte dopo una notte scomoda sul seggiolino della Economy Class. Ma come farà Suor Laura a fare il viaggio Etiopia-Italia avanti ed indietro in continuazione?! Ho salutato Sister al ritiro bagagli, avrà un appuntamento qui a Roma martedì, poi sabato sarà già di ritorno col prossimo gruppo di volontari sanitari&c.

Nel precedente scalo ad Addis Abeba, ho avuto modo di ascoltare da Carlo, amico e guida di Giovanni e della sua associazione laicale, i Memores Domini, la descrizione del profondo legame che hanno. La fede semplice ma profonda, intuitiva e geniale del nostro responsabile del progetto agricolo, ha colpito così tanto Carlo che ha deciso di passare gli ultimi anni della sua lunga e appassionante vita ad Adwa, in comunità con lui e le salesiane. Sta rientrando a Milano giusto il tempo necessario per gli ultimi preparativi prima del trasferimento. Mi spiega la sua scelta con una delle tante perle di saggezza che mi porto a casa da questo viaggio: “1 + 1 non fa 2. Fa infinito”.
Prima dell’imbarco, sono stata casualmente testimone di uno scambio di riflessioni esistenziali tra suor Laura e Carlo, due ottuagenari che hanno fatto grandi cose e non hanno intenzione di fermarsi: riconoscono reciprocamente di somigliarsi tanto, condividono la dedizione di un’intera vita alla volontà di Dio, al servizio, alla preghiera, alla comunità. Oggi possono beatamente dire di non avere nessun rimpianto, malgrado la consapevolezza dei propri difetti ed errori, considerati comunque parte fondamentale della propria umanità. Grande rispetto ed ammirazione.

Ora devo ingannare il tempo fino alle 9, in attesa di imbarcarmi per Bologna. Mi arrivano i messaggi di Leda e Giovanni, già svegli ad Adwa, che chiedono com’è andato il viaggio. Mi mancano già. Riguardo le foto scattate durante questi dieci giorni, mescolate a quelle inviatemi dagli altri volontari. Mi stanno tutti aiutando a documentare le attività, i progetti, la situazione delle persone assistite ad Adwa.

gruppo dei volontari di ASPOS e dei collaboratori di Kidane Mehret ed Amici di Adwa... con le Tshirt generosamente donate da Giulio Bagatti tramite Anna Carobene
gruppo dei volontari di ASPOS e dei collaboratori di Kidane Mehret ed Amici di Adwa... con le Tshirt generosamente donate da Giulio Bagatti tramite Anna Carobene

A proposito dei volontari, vi ho già raccontato nei diari precedenti delle infermiere Marina e Nadia, dell’ostetrica Luciana e del fisioterapista Gianni. Ma non vi ho ancora parlato di altre persone che stanno dando tanto alla popolazione di Adwa.

In questi giorni ho avuto l’occasione di conoscere meglio il dentista Rino e l’odontotecnico Matteo. Avevo visto le loro foto ed i video dei tanti viaggi ad Adwa: da anni offrono le loro prestazioni per alcune settimane, ed ora che sono in pensione si possono fermare un mese intero. Hanno donato la poltrona completa, i ferri e l’autoclave per la sterilizzazione, un laboratorio odontoiatrico completo dall’Italia. Sono riusciti a procurare gratuitamente anche tantissimi denti per realizzare le protesi, che di listino costerebbero una fortuna. Quando sono andata pochi giorni fa a vederli all’opera, la fila fuori dall’ambulatorio era lunga. Catherine, che gestisce la reception, mi ha spiegato che con le suore hanno stabilito delle tariffe simboliche (il corrispondente di 3-4€ per un’estrazione, 5-10€ per una protesi), ma quando arrivano pazienti che non possono permettersi di pagarle, vengono comunque assistiti. Chiedo a Matteo quanto costa il materiale di consumo: resina, gesso, solventi, così come anestesie, fili di sutura ecc. varrebbero decine di euro per ogni confezione. Li hanno acquistati  a proprie spese, li hanno portati in valigia o spediti con container nei mesi precedenti. Considerando tutto, il bilancio dell’ambulatorio sarebbe comunque in perdita. Per fortuna che ci sono gli aiuti dall’Italia, altrimenti tante persone rimarrebbero con sorrisi sdentati, difficoltà di masticazione, dolori fortissimi quando arriva un ascesso. L’altro giorno per strada hanno visto uno studio privato: ingresso coi marmi, apparenza lussuosa, ma attrezzature molto limitate e prezzi alti: da quello che sappiamo il titolare cerca di risolvere sempre i problemi con estrazioni dentali!
Rino ha anche avuto l’opportunità di vedere all’opera la dentista dell’ospedale pubblico che ha una convenzione con Kidane Mehret per operare al sabato nel nostro ambulatorio: è sembrata gentile ed abbastanza competente, felice di poter utilizzare un’attrezzatura così professionale. Chissà che in futuro non ci sia la possibilità di averla a tempo pieno…
Conoscendoli meglio, noto che i due volontari hanno personalità diametralmente opposte: Rino è di una dolcezza e gentilezza infinite, pacato e rispettoso di ogni persona che arriva, qualsiasi condizione igienica trovi (spesso terribile!); Matteo è spiritoso e provocatorio, ha realizzato con le vecchie impronte e calchi dentali delle buffe composizioni tipo torte o candelabri, nonché divertenti collage fotografici delle bocche di pazienti prima e dopo la cura. La lunga esperienza di Matteo da docente nella scuola per odontotecnici lo porta a dare in continuazione voti alla nuova assistente che gli hanno affiancato: un bel 2 per non aver sistemato a dovere l’impronta prima che si indurisse, un 8 per essere stata autonoma nel prenderla… Finora ha totalizzato una media di 5,9, rimarca l’implacabile prof! Ma confida che imparerà in fretta, sperando possa proseguire su questa strada, ce n’è davvero bisogno.
Ci sono tante considerazioni da fare sulla sostenibilità di questa attività: dalla cultura locale che non supporta l’utilizzo dello spazzolino, all’importanza dell’educazione a scuola, dalla necessità che i pazienti siano autonomi nell’usare le semplici protesi realizzate (c’è un cartello in tigrino che invita a lettere cubitali a rimuovere la protesi prima di dormire, altrimenti rischiano di affogarsi!) alla scelta di tecniche che in Italia non sono più utilizzate ma in Etiopia sono più praticabili. Sono tutte informazioni che mi porto a casa come tesoretto per la progettazione futura.

Non vi ho ancora parlato nemmeno di Vittorio e Loredana, una coppia padovana veterana del gruppo dei sanitari. Fedeli amici dei Fasolo, da quando è mancato Giampaolo non lasciano mai sola Leda. Vittorio è il medico che segue fin dalla nascita il laboratorio analisi dell’ospedale. Appassionato del suo lavoro anche nel tempo libero: alla sera, degustando un bicchierino di grappa ed un po’ di cioccolata portate dall’Italia (le scorte della moglie sembrano infinite!!) condivide con noi appassionanti descrizioni di uova e feci della larva della scabbia, visibili grattando la pelle e scoprendo i cunicoli sottocutanei che si è scavata…
Quando Alberto ha avuto la febbre, assistevo affascinata alle disquisizioni del laboratorista – come di fronte ad una puntata della fiction tv “Doc” – sulle possibili diagnosi in base agli esami di sangue e feci a cui è stato accuratamente sottoposto.
Però in ospedale il nostro veterano d’Africa, doc. Rossi, deve portare tanta pazienza ed accontentarsi di lavorare con quel poco che c’è. Sa che quotidianamente si deve scontrare con l’attesa del tecnico da Addis Abeba per la revisione e taratura della macchina per l’emocromo ferma da qualche tempo, con la mancanza di reagenti perché al momento dell’ordine i contanti erano temporaneamente non disponibili, con il paradosso che le strisce dei test costano molto di più in Etiopia che in Italia.
Al fianco di Vittorio, Loredana ha sempre a cuore gli ultimi, quelli che hanno poco o niente. Si è ritagliata nel gruppo un ruolo speciale: le consegniamo tutti i vestiti, le scarpe, il cibo da donare e lei li distribuisce a chi sa che ne ha più bisogno. In questi giorni suor Laura le ha anche affidato le chiavi dei magazzini da cui attingere agli aiuti arrivati coi container (una fiducia senza precedenti!). E così ogni giorno vedi passare qualche donna delle pulizie, guardia, contadino con un sorriso beato ed un nuovo look da esibire. Per non parlare dei bambini con le caramelle ed i lecca-lecca, che la inseguono per tutta la missione! Lory parla a quei tosi rigorosamente in dialetto padovano, ma – chissà perché – la capiscono tutti…

vittorio loredana leda sr marjorie

Dulcis in fundo, mentre sta per arrivare l’orario del mio ultimo imbarco, non posso non ricordare il tempo condiviso ad Adwa con la grande squadra dell’ufficio: Leda, Antonio e Alberto.

Antonio ed Alberto sono miei concittadini, pensavo di conoscerli bene, ma non era così. Li ho osservati ed ammirati sul campo, nel rapporto con operai e tecnici di fiducia, con le suore, con i mille fornitori del cantiere. Grande ordine, puntualità, professionalità, ma anche calore umano ed empatia. Sono – come si suol dire – culo e camicia, amici fedeli, “Santolo e Santolo”, come reciprocamente si chiamano con affetto. Hanno passato insieme i momenti più difficili dei bombardamenti, della mancanza di cibo, delle chiamate notturne per accendere il generatore per un cesareo d’urgenza quando mancava la corrente, delle notti completamente buie in cui si vedevano solo i fari delle carovane di camion coi soldati che scendevano dalla montagna. Penso li abbia salvati la complementarietà tra la razionalità di uno e la spensieratezza dell’altro. In cantiere sono uno la mente e l’altro il braccio, il geometra ed il tecnico tuttofare.
Mi hanno accolta come in famiglia. Ho invaso i loro spazi col mio computer, le mie carte, le mille domande, la foga di risolvere troppe questioni in troppo poco tempo.

Non sono mancate le fatiche, non lo nascondo altrimenti direi una bugia: non siamo sempre preparati su tutto al 100%, capita di doverci barcamenare anche in situazioni che non sarebbero di nostra competenza, ma abbiamo affrontato tutto questo in squadra: con Antonio, Alberto, suor Laura e Leda.
In una manciata di giorni abbiamo affrontato un tour de force tra lunghi meeting con i rappresentanti di Unops ed Aics per il finanziamento italiano che si fatica a sbloccare, complicati accreditamenti dei fornitori sui portali in lingua inglese, indagini sul percorso dei container in stallo tra Gibuti ed Adwa, incontri coi rappresentanti della fondazione americana Helmsley in missione di monitoraggio dell’ospedale, la demo del nuovo software “Open Hospital” progettato assieme ad Informatici Senza Frontiere affiancando i sanitari etiopi e kenioti, l’appuntamento con una importante fondazione sanitaria italiana per coinvolgerli nel progetto di riabilitazione degli amputati e feriti di guerra. E’ stato comunque bello incontrare persone oltre che istituzioni, esseri umani che hanno dimostrato grande sensibilità per i bisogni della gente di Adwa ed apprezzamento per il lavoro che portiamo avanti tutti insieme!

gruppo ufficio

In tutto questo, l’ultima e fondamentale tessera di questo mosaico è Leda. Gliel’ho detto: “se non ci fossi ti dovrebbero inventare”. Per chi non la conosce, è la grande donna dietro al grande uomo. Se di Giampaolo – già direttore dell’ospedale e presidente di ASPOS – sentiamo tanto la mancanza, di Leda ora possiamo apprezzare ancora di più quello che è capace di fare dietro alle quinte. Un caratterino tutta pepe, non sta mai ferma, ogni tanto capita che lanci una stoccatina a chi non sta al passo. Ma in questi giorni, fianco a fianco, ho riconosciuto la  sua grande capacità di organizzare, di cercare e trovare soluzioni ai problemi, di dare attenzioni speciali ai bisogni di tutti, di porsi sempre al servizio degli altri.
Malgrado entrambe non siamo portate per effusioni né sentimentalismi, la perdita di suo marito ci ha avvicinate nel nostro lato umano. La condivisione intensa di questi giorni ci ha fatto diventare amiche. Mi porto a casa l’abbraccio di saluto di ieri, e soprattutto la commozione nelle foto che le ho scattato quando ha ritrovato l’ultima paziente operata da Giampaolo lo scorso aprile: una bimba ustionata in un incidente domestico. L’altro giorno ha giocato felice assieme a lei col palloncino. Era tornata col papà nella speranza di fare un secondo intervento di ricostruzione dei tessuti, Leda non sapeva come fare a spiegarle che lui non c’è più.

Ma la vita deve andare avanti, troveremo un altro chirurgo che la possa aiutare. Leda sta portando avanti l’eredità di Giampaolo con grande forza e, sotto sotto, grande dolcezza. Grazie Leda!

Sto per arrivare tardi all’imbarco per Bologna. Sono arrivata al termine del mio viaggio, e con esso del mio prolisso diario… Grazie della vostra pazienza per avermi seguito fin qui, per esservi lasciati portare con me! Alla prossima! (Carolina sta già scaldando i motori e caricando la macchina fotografica 😉

Silvia

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